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Topics - ramingo

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Chiacchieriamo / Quesiti Psicoattitudinali
« il: 24 Settembre 2007, 22:56:01 »
giusto per, provo a sottoporre alla vs attenzione dei simpatici quesiti...


Un ragazzo dice ad un amico “l’anno prossimo sarò maggiorenne, anche se l’altro ieri avevo solo 15 anni”. È possibile che questa frase corrisponda a verità?

Una persona afferma di avere tanti fratelli quante sorelle. Una donna dice: “colui che ha appena parlato è mio fratello e rispetto a lui i miei fratelli sono il doppio delle mie sorelle”. Quanti fratelli e sorelle ci sono in tutto nella famiglia?


 :blink:
 

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Scusate non ho resistito!
uno dei miei siti preferiti (oltre a buonvicino.net...) è scheletri.com, sito che è cresciuto grazie alla passione di tanti giovincelli per la scrittura.
Ebbene oggi ho trovato  un racconto meraviglioso che sembra scritto appositamente per max e sax (gli amministratori)!!!

Vi lascio il link in modo che possiate leggerlo:

racconto

...
 :P

Anno 2007.
Il cellulare lo fulminò al ritorno dall’ufficio. Spense l’autoradio, accostò, tolse l’aggeggio di tasca, senza entusiasmo. Numero privato, dichiarava il display. Inizio pessimo: c’era sempre la fregatura, quando nascondevano il numero, e Paolo Volpi ne aveva già incassate parecchie. Abortì la nascente bestemmia.
«Pronto?»
«Ohi, Paolo, hai cinque minuti?»
Dario Ferrazzi, appunto. Cosa s’era inventato, stavolta?
«Sì, ma mi servono. Facciamo domani.»
«È urgente. Ci hanno beccati.» Parlava come una radio dalle pile quasi scariche.
«Cosa intendi?»
«Lo sai cosa intendo. Allora, ce li hai cinque minuti?»
Eccolo fregato. Come sempre. Maledetti i numeri privati! E maledetto pure Dario, già che c’era.
«Per forza che ce li ho», rispose stanco.
«Perfetto. Dobbiamo parlarne di persona.»
«Dove sei, adesso?»
«Al 127.0.0.1»
Al solito, pensò. Feticista dei computer. «Perché non puoi dire ‘casa’, come le persone normali?»
«Perché non è lo stesso, lo...»
«Lascia perdere», interruppe Paolo, «e aspettami lì. Arrivo subito.»
Guidò in fretta, sotto un cielo di calcestruzzo. Pareva dovesse piovere da un momento all’altro, ma pareva soltanto: non s’era ancora vista una sola goccia. Tempo di merda, bofonchiò tra i denti.
Ci hanno beccati. Magnifico! Il modo giusto per concludere la giornata. Non aveva neppure la forza di arrabbiarsi, dopo dieci ore d’ufficio. È tutto sicuro, vedrai. Non se ne accorgeranno. Andar male? No, impossibile. Un affare! Quante volte glielo aveva ripetuto, Dario, per convincerlo? Alla fine ce l’aveva fatta, ovvio. Ce la faceva sempre.
Nomen omen, vero?, si chiese ironico Paolo, Volpi di nome ma non di fatto.
Stavolta, però, s’erano ficcati in un bel casino, se li avevano beccati davvero. E tutto grazie a Dario. Hacker, c***ker, wafer: che si facesse chiamare come voleva, quello, ma restava sempre un idiota.
«No, l’idiota sono io che l’ascolto», borbottò di nuovo, mentre parcheggiava davanti alla sua casa. «Sono io l’idiota vero, perché non l’ho ancora mandato dove merita.»
Scese di malavoglia, camminò di malagrazia e bussò in malo modo. Sarebbe dovuto essere sul suo divano, ora, a riposarsi in attesa che l’acqua bollisse. Sul divano a guardare il niente, ma soprattutto a pensare a niente. Invece...
«E non apre nemmeno, lo stronzo!»
Bussò di nuovo, poi provò la maniglia. Era già aperta. Entrò sbuffando.
Non c’era un cane, l’ingresso era buio.
«Dario!»
Premette l’interruttore, lo premette di nuovo. Niente luce. Ma possibile che non funzionasse nulla, quella sera? Chiamò ancora.
«Dario!»
Gli rispose il silenzio. Con un sospiro, si avviò verso l’interruttore generale, che fortunatamente non era molto lontano. Con tutte le volte che l’aveva sistemato lui, dopo che quel deficiente aveva fatto saltare la corrente, l’avrebbe potuto trovare anche alla cieca. E lo trovò, infatti.
Abbassato, come era lecito aspettarsi. Lo sollevò e si guardò attorno, nella casa ora illuminata. Non una traccia di Dario. Era uscito, lasciando tutto aperto e acceso? Anzi, acceso no, perché mancava la luce. Ma la porta era aperta, questo sì. E allora?
Paolo non aveva ancora deciso se preoccuparsi o arrabbiarsi. Quell’idiota lo aveva fatto arrivare lì, spaventandolo con la storia del “ci hanno beccati”, e poi manco si faceva vedere. Cosa era tenuto a pensare lui, a quel punto? Che lo stava prendendo in giro? O che lo avevano già beccato, chiunque fossero quei loro?
«Dario!», chiamò per la terza volta, avanzando verso la sala. Ancora nessuno.
Tutto era in ordine, però. Almeno, non più in disordine del solito. Il tavolo pieno di cartaccia, due o tre libri sul pavimento, resti di spuntini non ben definiti. Mancava solo il padrone di casa.
Scostò una tenda e guardò dalla finestra. Il cielo era un po’ più scuro, tinto dalla notte imminente, e prometteva sempre pioggia, senza mantenerla. Masticò una bestemmia, per calmarsi.
«E adesso?», si chiese. «Lo chiamiamo?»
Lo chiamò. Posato contro il davanzale interno, trafficò con l’odiato cellulare, utile di tanto in tanto. Non quella volta. Il numero da lei selezionato non è al momento raggiungibile, cantilenò una voce meccanica. Soffocò l’impulso di scaraventarlo contro il muro.
Sparito e col telefono spento. Ottimo.
Si maledisse per l’ennesima volta. Era un idiota di prima categoria: idiota per essersi fidato ancora di Dario e idiota per aver voluto fare una bravata da adolescente stupido, a quarant’anni suonati. La collaborazione del secolo: l’abilità informatica dell’ingegner Ferrazzi, unita alle alte competenze del dottor Volpi, per fregare tutti i sistemi di sicurezza. Butch Cassidy e Sundance Kid, yeah!
Gianni e Pinotto, semmai.
Ci hanno beccati.
Attraversò il pianterreno a grandi passi, stanza per stanza, con la calma di un gorilla in calore, pieno di anfetamine. Niente Dario, quasi l’avessero assunto in cielo, lasciando indietro solo l’immondizia terrena.
Infilò le scale, sbuffando. Che stesse dormendo, di sopra? Roba da ucciderlo! Non sarebbe stata la prima volta che lo convocava d’urgenza, per poi dimenticarsene, come se non gliene fregasse nulla. Ma stavolta lo strozzo, si giurò.
Percorse il corridoio, aprì la porta dello studio e lo vide. Seduto al computer, la più classica delle pose dariesche. Solo che era al buio. «Dario», gli disse, accendendo la luce.
Dario non gli avrebbe risposto.
Glielo suggeriva la testa, piegata in avanti, fino a toccare le mani sulla tastiera. Glielo suggeriva il corpo, nel complesso, abbandonato come un saccone di patate. Glielo suggeriva lo schermo nero del computer: a giudicare dalle cuffie, infilate ancora nelle orecchie, in precedenza doveva essere stato acceso. Glielo confermarono infine le sue stesse dita, quando le posò sul collo dell’amico.
«Merda», commentò a freddo. Non ne avrebbero parlato di persona, poco ma sicuro. E adesso?
Un repentino attacco di fifa tremens gli impose di guardarsi attorno, frenetico. Una casa vuota, con un cadavere: se ci fosse stato pure qualcuno vivo? Per esempio, chi aveva prodotto il cadavere? Non un pensiero gradito, per Paolo. Ci hanno beccati, gli aveva detto Dario, poco prima. Possibile che lo ammazzassero per quello? Per aver frugato un po’ qui e là, nei computer altrui?
Subentrò un’altra idea. Erano passati venti minuti dalla telefonata. Doveva essere morto dopo aver chiamato. Dunque...
«Merda!», ribadì, più convinto.
Chiuse la porta e la barricò con un mobiletto. Forse non era solo, lì dentro, ma una cosa la doveva fare, prima di filare via. Probabilmente inutile, d’accordo, ma poteva anche salvargli il c**o.
Frugare lo hard disk e poi formattarlo, per cancellare ogni prova di ciò che avevano combinato. Sentite condoglianze a Dario, ma non voleva raggiungerlo subito. Volpi di nome e di fatto, per una volta in vita sua.
Stringendo i denti, sfilò la tastiera da sotto il cadavere. Accese.
Mentre aspettava che si avviasse, raccolse le carte sparpagliate sul tavolo, attorno alla stampante, e quelle che ancora ne sporgevano. Spazzatura o documenti importanti? Meglio controllare.
Guardò rapidamente. Formule e schemi strani, che uno Einstein qualunque avrebbe certo capito, in tre, quattro ore di studio. Intascò tutto: se erano inutili per lui, magari potevano non esserlo per altre persone. Magari Dario aveva fregato quei documenti da qualche parte, per esempio...
Adesso, il computer. Era morto mentre ci trafficava: non era impossibile che contenesse indizi utili. Valeva la pena di cercarli, prima di cancellare. Paolo si asciugò la fronte, fissando lo schermo.
La casa era silenzio puro. Sempre meglio che sentire dei passi, però lo metteva a disagio. Tirava una brutta aria. Facciamo in fretta, si disse, battendo i tasti con vago disgusto.
Non voleva pensare a ciò che aveva accanto, accasciato sulla sedia.
Controllò i file recenti, l’ultima data di modifica, tutto, ma non trovò nulla di interessante. Tranne una cosa. Uno strano collegamento sul desktop, etichettato come “Dario Ferrazzi”.
«Perché dev’essere così stupido, da dare il proprio nome ai programmi?», borbottò Paolo. Sapeva di non averlo visto, quando era stato lì la volta scorsa. Forse era una perdita di tempo. Però...
Quasi gli venne un colpo, lanciandolo. Non successe nulla di orribile o spaventoso: s’aprì solo una finestra di dialogo. Ma la finestra non avrebbe dovuto chiamarlo per nome.
«Paolo, sei tu?», gli chiese una stringa di testo.
Deglutì a vuoto. Cosa si deve dire a un programma, in questi casi? Non lo sapeva. Sapeva però che non gli piaceva per niente, quella storia.
«Sì, sono io», digitò in risposta. «Tu cosa sei?»
«Sapevo che saresti stato così idiota da accendere il mio computer...»
«Il tuo...», poi si morse la lingua. Guardò il corpo lì accanto. Possibile? Possibile? No, decisamente no. C'è un limite anche all'assurdo.
«Spiegami cosa significa», scrisse.
«Inutile, non lo capiresti.»
«Grazie della considerazione, eh?»
«Ci conosciamo dall'università, Paolo, lascia perdere. Non hai capito neanche i fogli sul tavolo, giusto?»
Fissò di nuovo il corpo, poi lo schermo. Possibile? Si asciugò il sudore sulla manica.
«Sei Dario?», scrisse, tremando.
«Sì.»
Cristo!
«E dove sei?»
«Al 127.0.0.1, te l'avevo detto.»
«Dunque non era la solita stupidata. Sei davvero al 127.0.0.1?»
«Non lo vedi? Mi hanno beccato, ero distratto.»
«Chi? E come? Spiegami cosa significa questa storia. Subito!»
«Un nuovo virus. Molto bello. Colpisce l'utente, non il computer. Credo sia sperimentale: è un vero onore, per me.»
«Impossibile!»
«Possibile. Opera per forme d’onda. Si salva sul disco e appena ascolti qualcosa... ti becca. Cervello formattato e memoria copiata sul computer, come file eseguibile. Hai capito?»
«No», ammise Paolo.
«Lo sapevo, ma non importa.»
«E i fogli sul tavolo? Cosa sono?», scrisse.
«Il listato del virus. Qualche ora fa lo stavo studiando, mentre ascoltavo un po’ di musica. Poi sono finito così.»
«Bella fregatura. Senti», aggiunse subito, «come hai fatto a chiamarmi, poco fa? Mi hai chiamato tu, vero?»
«Ho chiamato io. È facile telefonare tramite computer, lo dovresti sapere. Non ci vuole un genio.»
«Ma era tutto spento, quando sono arrivato.»
«Semplice blackout. Devo aver sovraccaricato la linea. Come al solito.»
«Già. Ma adesso io cosa devo fare? Non voglio finire così, se permetti.»
«Non ascoltare nulla. Lavora tramite forme d’onda, te l’ho detto. Suoni. Musiche. È una patch, che modifica ogni file audio. Altro non so.»
«Grazie tante...», digitò, aggiungendo varie bestemmie a voce. Ci mancava solo quello: preferiva il carcere, piuttosto che il cervello fritto. E in un modo così assurdo, poi...
«C’è un’altra cosa che devi fare», scrisse il programma-Dario.
«Cioè?»
«Formattami lo hard disk, ti prego.»
«Perché?»
«Perché così sparirò. Non è molto divertente, il 127.0.0.1...»
 
Rimase a lungo a fissare il corpo dell’amico, dopo aver chiuso il programma. Cosa poteva fare, ora? Costituirsi? Cancellare ogni traccia e filarsela, sperando in bene? Non aveva capito molto, di quella storia assurda, ma quel poco era più che sufficiente a terrorizzarlo. Sembrava folle, ma aveva un suo senso. Contorto, ma c’era. Quasi una legge del contrappasso.
Dario Ferrazzi era bruciato. Restavano un file sul computer e un cadavere sulla sedia, con le cuffie ancora nelle orecchie. Grottesco. Inverosimile. Concreto, purtroppo.
«Ci sei davvero, al tuo amato 127.0.0.1... E non ti piace, giusto?», mormorò, con un sorriso smorto.
Doveva formattare tutto e andarsene. Quella casa gli metteva i brividi, con la notte che calava. Però non era soddisfatto. Forse poteva scoprire qualcosa di più, per proteggersi. Mica voleva finire così anche lui! Dario era morto studiando il virus. Che avesse con sé qualche dato utile per individuarlo? Agiva tramite forme d’onda, gli aveva detto. Cioè suoni. Lo guardò meglio.
«Chissà cosa stava ascoltando», si chiese, sfilandogli le cuffie. Potrebbe essere un indizio, pensava, sistemandosele sulle orecchie, giusto per sapere a cosa devo stare attento. Paolo aprì l'ultimo file, a titolo puramente informativo.
Volpi di nome, ma non di fatto.
Adriano Marchetti

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Fantasia... racconti, prose, storie / Una Storia Tira L'altra
« il: 21 Maggio 2007, 18:23:49 »
salve amici-ci!
dopo un'allegra chiacchierata con max e dark, ho voluto dare inizio ad un nuovo entusiasmante (?) gioco fra noi magici e numerosi (?) utenti del forum...
...
(rovi rotolanti nel deserto)
(un ululato lontano)
(un avvoltoio nel cielo)
...
dicevo, un entusiasmante gioco letterario (!)

allora il principio è semplice:
partendo dalle poche righe che trovate in allegato alla presente, potete dare una svolta alla storia che in esse ha trovato inizio.
 in che modo? scrivendo altre poche righe (max 15) in cui farete succedere qualcosa a gusto vostro... poi spetterà al successivo utente continuare.

...
(cri cri di grilli)
...
il bello sarà vedere che piega prenderà la nostra Storia Infinita!
allora via!

79
Fantasia... racconti, prose, storie / Racconti
« il: 11 Maggio 2007, 18:11:43 »
per rompere il ghiaccio allego alla presente un mio racconto scritto un pò di tempo fa.
per il momento non detto alcuna regola per le vostre "pubblicazioni" ...  applicherei un approccio work in progress.
adesso però tocca a voi!


INTERVALLO

E lo sapevo che dovevo pulire il mouse prima di accendere il computer. Rimarrò fulminata o peggio, il mio amato/odiato strumento di torture e frustrazioni giornaliere, la mia Echo, un nome un programma, subirà le solite trasformazioni irreversibili dovute al folletto che abita nella tastiera, all’elfo del registro, al trojan di turno che ho scaricato con qualche @-mail, al nano della scheda madre. Tutte cose strane che periodicamente mi impegnano in lunghe telefonate con il Capo Master e che spesso si concludono con l’intervento di rattoppo del tecnico di casa, per tutti il Tecnoco. La penultima volta che ho tentato di dar vita ad Echo non si accendeva il monitor: mi son detta “Che ci sia qualche spiritello non ancora catalogato anche in questa appendice di Echo?”. Poi gira e volta, con la cornetta del telefono già in mano, non vedo che c’era la presa tirata? Ma allora ditemelo: c’è un simpatico nanetto di verde vestito che la sera non sa che fare ed organizza rave sotto la scrivania, ciò spiegherebbe anche tutto l’accumulo di schifose sozzure che vi raccolgono nel giro di una notte, oppure è Frankie che, con le sue zampine di coniglio, lascia i segni del suo inavvertibile passaggio, ricordandomi che tutto è precario, anche la mia sanità mentale.  - È inutile che mi stai alle spalle con quel ghigno stampato in faccia. Non ti vedo! - . L’ultima volta che ho spinto il tasto on mi è invece apparso uno di quei messaggi che ti fanno raggelare il sangue: scritte bianche su sfondo azzurro. Di solito non portano buone notizie. Stavolta parlano di un’installazione di un sw e\o hw che ha provocato un problema che ha indotto l’arresto di windows per impedire danni al computer. Bella storia: di quale nuova installazione stiamo parlando? Ho resettato. Adesso rifunziona, cioè per lo meno windows parte. Peccato che dopo un po’ appare un altro messaggio lapidario che dice “Attenzione il sistema è stato ripristinato in seguito ad un errore grave” e che mi ricorda che tutto è precario, anche l’equilibrio di Echo. Ho masterizzato il masterizzabile e continuo come se niente fosse. - E smettila di sbellicarti dalle risate. Io almeno ancora sono viva –. Ma guarda come cavolo è fatto un mouse. E quanto sudicio sudiciume si forma su rotelle e rotelline!
È rientrato qualcuno. Strano, non riconosco i rumori che distinguono il rientro di ciascuna delle mie coinquiline: rumore di chiavi nello svuota tasche per la Dharma, l’aprirsi della porta in fondo al corridoio per la Taylor, passo felpato e tintinnio di accessori fashion per Shela. C’è qualcosa che mi inquieta. La porta d’ingresso non viene richiusa. Rimango in apnea aguzzando l’udito. Sembro il gatto quando punta la tana della talpa.
Ma vedi che sfortuna proprio adesso doveva sfilarsi una delle zozze rotelline. Ohi ohi!? E chi la ritrova sul parquet? Eccomi in ginocchio sotto la scrivania. Da gatto a talpa nel giro di un secondo.
Qualcuno apre la porta della stanza. “ Là, meno male che sei tu! Mi aiuti che ho perso una rotella interna del mouse che più minuscola non potevano farla. Là? LaaaAAAHHH?!!??”. Una figura che sembra quella di un uomo avanza verso di me, barcollando. La sua pelle è livida, la bocca aperta. Sbava. È molto lento e impacciato nei movimenti. Meno male, perché io continuo ad urlare e rincattucciarmi sotto la scrivania. Sono invasa da una paura incontrollabile. Possibile che sia succedendo veramente? Non c’è dubbio: si tratta di un mostro, uno zombie, un non-morto, un orrore vomitato dai racconti di Lovecraft che tengo sul comodino. La sua lentezza è un’agonia, così non mi raggiungerà presto. Forse non mi troverà nemmeno. Non dimostra dimestichezza con il suo corpo. Deve essere un mostro da poco: non deve avere ancora ucciso nessuno. Sa solo di avere fame e che qualcosa nella stanza in cui è entrato lo sazierà. Bene, organizziamoci. Se scatto come un puma di montagna sulla sinistra riesco di certo a mettere il tavolo fra me e lui. E se tutto ciò che ho letto e visto sull’orrore che mi sta davanti, basterà fracassargli la testa per renderlo di nuovo un morto. Lo spingerò contro il muro usando il tavolo. Sì, ce la faccio. È un fantoccio cieco. Non ha tanta forza. I suoi occhi iniettati di sangue sembrano quelli di chi ha pianto tanto. Non mi fa più paura come prima. Però tremo ancora. Mi fa quasi pena. È a terra che, ripiegato su se stesso, si contorce come quello strano moscerino che ho trovato nel lavandino di cucina l’altro giorno e che ho salvato, tirandolo fuori dalla goccia d’acqua in cui stava annegando. L’ho osservato a lungo sul davanzale della finestra su cui l’ho posato: con movimenti inconsulti si metteva zampe in aria, si arrotolava su se stesso e poi passava affannosamente le zampe posteriori, più lunghe, sulle ali. Poi si rimetteva in piedi e cercava di spiccare il volo. Ma le ali ancora appiccicate sul suo corpo glielo impedivano. E allora ricominciava a ripulirsi. Ma lo faceva in modo così convulso che ho provato dolore per la sua inconsapevolezza. Deve provare lo stesso idiota dolore il tizio rantolante sul parquet della mia stanza. Prendo una sedia e gliela rompo in testa. I suoi movimenti si fermano di colpo. Gli occhi si spalancano oltre misura. Un liquido vischioso si spande silenziosamente sul pavimento. Mi torna in mente l’immagine dei polli sgozzati e mi rendo conto che un’arma appuntita e pesante, magari di acciaio, mi avrebbe fatto comodo. Sto ancora cercando di riprendere possesso dei miei pensieri e del mio corpo, quando un’altra presenza entra nella stanza. Stavolta sono più pronta: l’adrenalina scorre nelle mie vene. Facendo attenzione alla bocca che provoca l’infezione “zombizzante”, almeno così mi pare di ricordare, un morso e divento una di loro, due morsi o più e divento il loro pasto, la tiro dal braccio che stende davanti a se, proprio come se non vedesse, mentre l’altro lo usa per appoggiarsi al muro, proprio come se avesse difficoltà a stare in equilibrio sulle gambe. Mi chiudo la porta dietro le spalle e con furia cerco un’arma. Ah come vorrei avere l’ascia con cui spacca la legna l’Antoinette. È leggera, maneggevole e affilata. Ma in un appartamento che posso trovare di altrettanto allettante? Un coltello per il pane? Troppo flessibile. Un mestolo d’acciaio? Troppo leggero. Il coltello per le bistecche? Troppo corto di lama e di manico.  La mezzaluna? E chi l’ha mai avuta? L’amica è più sveglia del previsto. Sta per aprire la porta. Ancora un po’ e ci riesce. Le sbatto la porta contro con tutta la rabbia che mi è salita fino agli occhi perché non ho trovato un’arma decente. Poi me la richiudo dietro. Pensa, pensa, pensa. Cerca, cerca, cerca. Il matterello? Meglio di niente. Posso provarlo subito sul compare che fa capolino dall’ingresso. Un colpo teso e… vai! Funziona, ma non bene. Mi serve qualcosa di appuntito perché la calotta cranica è molliccia e le cose di legno, tipo la gamba della sedia e il matterello, tendono leggermente a rimbalzare e poi rimangono invischiate in quello che doveva essere il cervello. Ancora la testarda donnina riapre la porta. Stavolta la termino! “Donnina aspetta lì che adesso arrivo! Fammi cercare qualcosa di adatto. Guarda che non mi scappi!”. Pensa, guarda, cerca, pensa, guarda, cerca. Cerca, cerca ah-ah! Adesso si che ci siamo! Il martello: pesante perché un signor martello di una volta, piatto da una parte, bello appuntito dall’altra, vediamo che effetto ha! Riposa brutta testarda donnina! Chiudo la porta d’ingresso. Ho bisogno di fare il punto della situazione. Non è possibile, ma credo ci sia in atto una zombificazione. I tre “amici”, che spurgano a terra i loro liquidi umorali interni e quelli celebrali, non sono miei conoscenti. Non sono nemmeno i condomini dello stabile. Chi sono? non credo siano i soli. Temo si tratti di una zombificazione di massa. Solo lui può illuminarmi. Devo raggiungerlo immediatamente.
L’appartamento è in ordine. È tutto pulito e luminoso. Sfortunatamente all’ingresso l’inferriata non si chiude, sembra forzata. Sarebbe stato utile in caso di visite non gradite. In effetti, ora che ci penso, il fatto che l’ingresso sia preceduto da un pre-ingresso blindato, non mi sembra più un vezzo architettonico: sembra voluto proprio per fronteggiare una situazione come quella che mi si è presentata poco fa. Avanzo cautamente, stringendo il martello tra le mani. La stanza da pranzo è candida, sul tavolo c’è un tavolo con rose bianche. La luce e il tepore del giorno primaverile irrompono dalle finestre poste sulla parete alla mia destra. Per il dolore che mi genera la vista del salotto avvolto dalla penombra, mi dirigo verso la porta alla mia sinistra, una pupilla nera in tanto chiarore: un contrasto angoscioso. Finalmente trovo la sua canuta madre seduta nella semioscurità. “Dov’è lui?”, le chiedo portandomi davanti la poltrona dove sta seduta dando le spalle alla porta. Vedo, con dispiacere, che la signora di nero vestita si stropiccia le mani, piagnucolando tra sé e sé. “Lui non c’è”, dice con voce flebile. “Ma sta bene”. Pensa dunque che io sia venuta ad appurare se lui sta bene. Mi parla senza alzare lo sguardo. Mi parla come se… probabilmente è successo l’irreparabile. “È uscito”. È in casa spero soltanto che sia morto e non che… . “Non torna presto”. Ritorno sui miei passi e ripassando dalla sala da pranzo mi dirigo verso la porta della zona notte. Urto il tavolo e il vaso cade a terra. Si frantuma. Un corpo giace bocconi nel bagno. È il suo. Lo rigiro e due occhi rossi mi fissano. “Sarò uno di loro tra poco. Fuggi”. Il martello mi cade di mano mentre, fuori di senno, corro verso l’uscita. Peccato che l’unica via d’uscita sia un ascensore, un ascensore che ci mette troppo ad arrivare. FINE?

80
Fantasia... racconti, prose, storie / Benvenuti
« il: 09 Maggio 2007, 18:50:43 »
carissimi un saluto a tutti voi!
oggi non sono molto loquace, ma sicuramente saprò trovare le parole
- prometto in numero minimo - per dirvi che mi fa molto piacere aprire
le danze in questa nuova sezione.

scrivere mi aiuta a rielaborare le cose che mi succedono (belle e brutte) e
fondamentalmente scrivo per me stessa... perciò premetto che i miei racconti
non sono per niente capolavori anzi sono imperfetti come me!

credo che molti di voi abbiano la stessa mia passione per la lettura e la scrittura
e, allo stesso tempo, credo che il mio invito a tirare fuori dal cassetto le vostre
sudate carte non cadrà nel vuoto (anche perchè sennò fanno la muffa).

PS: lungi da buonvicino.net l'intenzione di paragonare i nostri lavori a quelli
di mostri quali  Baricco o Moccia... ragà semo tra noi...

PPS: leggere apre la mente, scrivere libera lo spirito!

PPPS: per i miei racconti accetto qualsiasi critica... è così che si cresce!

81
Chiacchieriamo / Anche Le Dark Compiono Gli Anni
« il: 30 Aprile 2007, 12:03:52 »
ATTENZIONE:
vi prego di interrompere per un attimo quel che state facendo, oggi non è un giorno come tanti altri: è speciale!
Come perché?

Oggi è Festa dei Precari e dei Disoccupati (ahimè), non solo: come oggi nel 1777 nasceva Carl Friedrich Gauss, matematico, astronomo e fisico tedesco, in scandinavia si festeggia l'arrivo della primavera, come oggi nel 1989 moriva sergio leone...
e poi...
qualcuno del forum compie gli anni:

AUGURI DARK!!! Che la tua vita sia sempre a colori!!!
 

82
Chiacchieriamo / Aaa Cercasi Ag
« il: 27 Aprile 2007, 17:54:51 »
Cari amici del forum è già un anno che bazzico nella piazzetta virtuale di buonvicino.net e sono giunta alla decisione di utilizzare il potente mezzo di comunicazione per lanciare un appello virtuale:
sono parecchi annetti che non trovo il modo di ricontattare una persona (AG per l'appunto) per svariati motivi, primo fra tutti ho smarrito il suo indirizzo e_mail causa formattazione del mio pc, un altro è che mi mancano le parole... scrivere è più facile che dire (sempre che non venga io risucchiata in una discussione nella chat: là son veramente impedita - nemico e salvo  possono confermare-).

APPELLO:
AG la somma delle cifre del tuo anno di nascita è 23 (nb: il tuo anno di nascita è uguale al mio).
AG alle 4 ruote preferisci le 2.
Una frase dovrebbe esserti familiare: "l'essenziale è invisibile agli occhi".


AG se ti dovesse capitare di leggere questo appello usa pure il forum per ricontattarmi, ma mi raccomando fallo in modo discreto (traduzione: permettimi di mantenere l'anonimato!!!). Poi chi vivrà vedrà.

 

83
Chiacchieriamo / Cinema: Meglio La Sala O Il Salotto?
« il: 09 Febbraio 2007, 19:53:52 »
caaaaaaarisssssimi,
ieri sera ho visto in dvd "Cappuccetto Rosso e gli Insoliti Sospetti", titolo originale Hoodwinkede, ed ho riso molto.

in effetti ho riso anche con mulan e con l'era glaciale 1. che forse non sono normale???!!!

comunque. volevo lanciare questo nuovo argomento nel forum:
quali film vale la pena andare a vedere al cinema e per quali conviene aspettare l'uscita in dvd?

raccontatemi le vostre "visioni", naturalmente legali...

aspetto inoltre suggerimenti su cosa vedere assolutamente.

ps: tra i miei film preferiti c'è "il pianista sull'oceano" che,  tra l'altro, mi ha fatto scoprire il mio scrittore preferito...

 

84
Chiacchieriamo / Auguri
« il: 30 Marzo 2006, 18:20:16 »
TANTI AUGURI BARBY!!!!

PS: scusatemi ma ho ancora problemi ad orientarmi nei vari forum e allora uso questo che mi è familiare...

pss: la tiratina di orecchie vale anche se virtuale? credo di si, altrimento delego la stessa Barby a provvedervi in prima persona.



     

85
Presentati / Tadà Eccome!
« il: 23 Marzo 2006, 11:07:50 »
CHE TRISTEZZA!!!! NON C'E' NESSUNO A DARMI IL BENVENUTO DOPO LA MIA REGISTRAZIONE (QUASI ESTORTA, DATO CHE IL SITO NON E' NAVIGABILE SENZA!). SONO CMNQ FELICE PERCHè VOMMICINO NON HA RESISTITO AL FASCINO DI INTERNET. IO VORREI PROPORMI COME COLLABORATORE MA NON HO CONOSCENZE INFORMATICHE MINIME DI BASE. HO PERO' MOLTO SENSO CRITICO, PERCIò ADESSO MI FACCIO UN GIRETTO E POI FACCIO LA MIA RECENSIONE SUL SITO.
PS: MA VOI AMMINISTRATORI CHI CAPPERO SIETE? A CHI APPARTENETE?
PSS: ANCHE SE MI RISPONDETE NON VI INQUADRERò MAI PERCHè SONO UN RAMINGO DA TANTISSIMO TEMPO.

TARALLUCCI E VINO.

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